Il progetto #COVIDART è nato da una riflessione ispirata dalla routine quotidiana che ha segnato il lungo periodo di quarantena ed è stato rivolto a tutta la comunità dell’Istituto Primo Levi di Torino.
Una selezione di circa 90 immagini ha fotografato questo lungo periodo di lockdown.
Tanti sentimenti, belli e brutti, hanno affollato la nostra mente in questi lunghi mesi e, dopo l’ennesima chiusura, mi sono chiesta che cosa stessero facendo e che cosa stessero pensando i nostri alunni e i miei colleghi. Così, dopo averlo condiviso con la nostra Dirigente Prof.ssa Anna Rosaria Toma, che ringrazio per la fiducia accordata, ho lanciato il progetto #COVIDART.
#COVIDART ha invitato a immortalare gli oggetti, le azioni su cui ci si soffermava, ormai, ogni mattina, ogni pomeriggio, una tantum e spesso in modo ossessivo; ha invitato a rappresentare con un’immagine e con una didascalia anticipata da un # (perché un post ormai comunica con grande incisività) il proprio stato d’animo. Spesso un testo facoltativo, richiesto nel format assegnato, è stato un ulteriore strumento di introspezione cui alcuni partecipanti si sono lasciati andare senza dover mostrare il viso (una regola da rispettare in questa esercitazione per dare spazio al proprio “ego universale”, comune a ogni essere umano, che in questi mesi ci ha portati a riflettere per il “bene comune” nel rispetto dei più fragili).
È stato emozionante leggere i “nostri alunni” attraverso la scelta delle loro immagini e attraverso le loro evocazioni. Tante inferriate sono comparse per segnare il limite di ciò che non si poteva più varcare con libertà; qualcuno ha raccontato la vita vissuta da un balcone, di giorno e di notte, e il silenzio assordante; la nostra Torino vuota. Il tema della mancanza è stato affrontato spesso nei confronti di una quotidianità non più apprezzata e ormai tanto agognata. La routine quotidiana pre-covid, fatta di scuola, sport, amici e famiglia, è stata sostituita da una routine quotidiana ben più ristretta, costretta tra quattro mura spesso senza un balcone, a guardare con nostalgia la fermata dell’autobus sotto casa per andare a scuola (ahimè!) o il proprio zaino con tanto di abbigliamento sportivo.
In molti casi la vita è ritornata nella propria cameretta per partecipare alle lezioni on-line, ma anche per provare a ritrovare la propria intimità nelle pagine di un libro o nel riformulare il concetto di svago semplicemente disegnando. Così come la vita è riaffiorata dalle immagini delle rampe di scale o delle palestre domestiche in cui i nostri alunni, per la maggior parte sportivi, si sono tenuti in allenamento; viste di un’estate passata, di un viaggio sopra le nuvole, di un dolce preparato in casa per sopperire a quello gustato “in centro”. In ogni caso il tema dell’attesa, della speranza, del riabbracciare, del rivedere, il desiderio di una “quiete dopo la tempesta”, ma senza sapere quando sarebbe finita la tempesta: vere e proprie finestre aperte verso l’esterno (un’immagine proposta frequentemente) per spalancare la proprio anima.
L’immagine e la sua comunicazione hanno accompagnato più che mai questo lungo periodo di vita sospesa; sui social l’espressione artistica è imperversata in mille modi per creare contest di riflessione: forse la riproposizione di quei “ricorsi storici” che ciclicamente, e in momenti di pandemia, hanno segnato un cambiamento profondo del nostro modo di vivere i rapporti umani nelle nostre case, nelle nostre città. Uno stop per ridare importanza all’essenza: nuove sfide o #challenge con cui tutti noi ci siamo interfacciati.
Noi, prof della “DAD”, siamo entrati nelle case dei nostri alunni e tutti loro sono entrati nelle nostre case, mescolando le dinamiche col nostro bagaglio visibile al mondo più che in ogni altro momento: il nostro privato è diventato pubblico allo stesso momento. Siamo stati invitati, a tentoni e nel buio, a nuove dinamiche relazionali per ascoltare i nostri alunni, spesso davanti a uno schermo nero o senza parole. Eppure, in alcuni casi, abbiamo saputo cogliere la tristezza e l’allegria senza la vista e senza l’udito. Per tutte queste ragioni, ringrazio tutti gli alunni e tutti i docenti che hanno partecipato, perché, accettando la sfida, hanno aperto il loro cuore.
Carla Zito